Responsabilità sociale d'impresa dal punto di vista umano

Opinione Liberale: articolo di Morena Ferrari Gamba, 27 novembre 2019

Da qualche tempo si è aperto il dibattito sulla responsabilità sociale con riferimento all’operato delle aziende. Oggi, stanno prepotentemente tornado in auge valori come responsabilità economica e legale abbinate all’etica e sostenibilità. Si ricerca il giusto profitto ma anche il miglioramento della qualità di vita di una comunità; e per comunità si intende anche la parte umana delle imprese: i lavoratori, che sono anche cittadini e membri di una entità più ampia che si chiama “società”.

Nel corso degli anni non solo la società è cambiata ma anche il mondo del lavoro non è stato immune dalle trasformazioni. Usciamo da un’epoca incentrata sulla massimizzazione del profitto.  In particolare, la finanza speculativa senza freni ha soppiantato l’impresa e ha influenzato il sistema intero. Essa ha dettato l’agenda della politica, ne ha determinato i temi e i valori. Alla mentalità imprenditoriale si è sostituita quella manageriale che risponde solo agli azionisti, mettendo al centro il profitto, introducendo una politica di retribuzione ed incentivi basata principalmente sulla leva finanziaria, molto alta, e in stretta relazione con obiettivi, concorrenza e moli di lavoro altrettanto elevati per i dipendenti.  Il sistema, che si era fatto ingordo e drogato, più in mano ai furbi che ai competenti, ha portato alcuni protagonisti a comportamenti etici spesso discutibili ma soprattutto una larga maggioranza ad uno stato di forte stress, infelicità, depressione e di burnout, come diremmo oggi.  Forse, anche grazie alla crisi che ne è derivata, si è iniziato a ripensare ad una gestione delle risorse più sostenibile, più etica e volta a cercare di valorizzarle e non a sfruttarle.

La società sta cambiando, compreso il mondo del lavoro, e sta lanciando segnali sempre più forti di una crescente consapevolezza e necessità di rivedere i valori fondamentali della propria esistenza. In particolare, la visione delle nuove generazioni tende a cercare soddisfazioni anche al di fuori del lavoro, in cose che non portano sempre un beneficio economico ma che assumono sempre più peso sul proprio grado di benessere. La ricerca di qualità della di vita personale con quella lavorativa è sempre più sovrapposta, sia negli uomini sia nelle donne e a tutti i livelli fino alle più alte funzioni, senza per questo togliere nulla all’assunzione di responsabilità. Perciò, quando un’azienda riesce a mettere davvero al centro della sua strategia valori etici, improntati sulla persona con politiche retributive e di riconoscimento accattivanti, basate su incentivi che rispecchiano le aspettative del collaboratore, l’impatto positivo sulla motivazione e di conseguenza anche sul rendimento è spesso garantito. Tante volte anche solo con un grazie. Per lavorare bene è importante sentirsi trattati bene, valorizzati nelle proprie competenze, sentire che si viene rispettati, che si è degni di fiducia e che si può avere fiducia nelle persone con cui si lavora. In questo modo i collaboratori non metteranno più a disposizione dell’impresa solo un tempo di lavoro, ma il loro pensiero, la loro intelligenza, la loro capacità relazionale, di gestione, di organizzazione, l’attitudine ad assumere responsabilità e rischi in funzione degli obiettivi dell’impresa. Un lavoro non gratificante rende le persone infelici e le persone infelici lavorano male!

In questi periodi risuonano con insistenza nomi come Andriano Olivetti o Gottlieb Duttweiler, due veri e propri pionieri; visionari che avevano messo in pratica e con forte convinzione un’ampia strategia volta a mettere al centro dell’impresa, ma anche della società, la “persona” con conseguenti risultati economici sorprendenti. Che dire, tempi lontani e diversi, mondi diversi, ma modelli più che mai attuali e sostenibili!

Morena Ferrari Gamba

Esperta HR e Vicepresidente PLR

Lugano, OL 27.11.2019