Oltre due anni fa, in un editoriale di "Opinione Liberale", che aveva solo un po' stuzzicato il dibattito interno, avevo tristemente evidenziato come alle nostre latitudini ci si stesse "conformando al malvezzo di altri Stati e sistemi a noi vicini o più lontani, in cui le procedure civili pendono per anni; dove le sentenze sono spesso oggetto di impugnative costose e lunghissime; dove le autorità di esecuzione sono sovraccariche e senza idonei strumenti per mettere lo Stato al servizio dei cittadini; dove le inchieste penali sono incagliate nell'incapacità di reperire il bandolo della matassa, a tutto vantaggio dei furbetti e dei malavitosi, che qui trovano terra fertile per continuare nelle loro nefandezze e infine pene talvolta troppo miti, con l'unica eccezione delle infrazioni alla circolazione stradale, che invece vengono represse con estremo rigore".
Purtroppo le cronache recenti e l'attuale bufera in merito alla nomina dei procuratori pubblici, riportano alla ribalta ed evidenziano, con enfasi, la correttezza di quanto scritto allora. Gli eventi recenti non permettono di voltarsi dall'altra parte ancora, come invece fatto in tutti questi anni dagli addetti ai lavori (che purtroppo con questo sistema devono convivere), dalle istituzioni e dalla politica. Non nascondo un certo sconcerto quando sento professionisti del settore legale manifestare stupore o sorpresa. Questo malandazzo è noto da anni a chi lavora nel settore e vede la disapplicazione quotidiana delle disposizioni legali esistenti, attraverso un meccanismo di esecuzione statale e della giustizia che purtroppo non è in grado di adempiere i compiti previsti dalla legge.
Il servizio di "Falò" di giovedì 15 ottobre ha evidenziato con chiarezza la precarietà del sistema. Gli strumenti legali ci sono, semplicemente non vengono messi in atto come dovrebbero. E le ragioni sono molteplici. Chiudere gli occhi e far finta che tutto vada per il meglio è una gigantesca ipocrisia. Per fortuna il vaso di Pandora, forse, è stato scoperchiato. Inutile lamentarsi del fatto che esistano personaggi di dubbia integrità che sfruttano persone e inanellano fallimenti dopo fallimenti, perpetrando all'infinito il medesimo schema truffaldino ai danni di clienti, artigiani, fornitori. È ora invece di indignarsi del fatto che non vengano messi in opera i meccanismi esistenti che permetterebbero facilmente di evitare il perpetrarsi di questi schemi e relativi danni milionari alle casse dello Stato, ai cittadini e agli artigiani onesti, fungendo altresì da deterrente pro futuro. Un paese senza il potere giudiziario efficace e funzionante è un sistema Paese destinato a indebolirsi, dove l'economia non può prosperare e dove il cittadino non è protetto e soprattutto non è invogliato a comportarsi rettamente, perché il sistema premia - al contrario - coloro che non lo fanno. Un'apoteosi del paradosso e un elogio ai furbetti. Inutile stupirsi delle infiltrazioni mafiose e dei casi di riciclaggio che passano per il Ticino. Finché i meccanismi di esecuzione, sanzione e prevenzione esistenti non verranno davvero messi in opera, l'invito a delinquere e ad approfittare di autorità sopraffatte avrà la meglio.
Capogruppo del PLR in CC a Lugano